Copiato da Punto Informatico del 11/03/2008

 
 
Roma – La gestione di un blog potrebbe presto comparire nelle prescrizioni degli analisti: è uno strumento catartico, consente di dare sfogo alle proprie emozioni e incanalarle in un circuito relazionale, per sentirsi bene con se stessi e con gli altri.

Bloggare fa bene, tempra lo spirito, allevia lo stress e sviluppa le capacità di interagire: a rivelarlo sono due studi condotti da James Baker e Susan Moore, ricercatori australiani della Swinburne University of Technology.

Due le fasi dell’indagine che hanno posto le basi per dimostrare che il blog potrebbe rivelarsi una fruttuosa terapia. Nel corso del 2006 i due ricercatori hanno intervistato 134 nuovi utenti MySpace australiani, statunitensi e britannici: hanno chiesto loro se fossero interessati a gestire un blog e hanno associato questa intenzione al profilo psicologico di ciascuno. Dei 134 intervistati, scrivono i due studiosi in un articolo pubblicato sul CyberPsychology & Behaviour journal, 84 meditavano di iniziare a postare in un blog, mentre 50 si sono dichiarati indifferenti alla malia del diario personale da esporre al giudizio dei netizen.

 
Coloro che si proponevano di gestire un blog, sottoposti a test per valutarne la condizione psicologica, si sono dimostrati più inclini alla depressione e bisognosi di sfogare le proprie sensazioni, facili ad abbandonarsi allo stress, insoddisfatti della propria vita di relazione, nella quale sembrano non trovare persone disposte ad ascoltare e a discutere delle emozioni che animano il quotidiano. "Sembra che questa categoria del campione si dica mi sfogherò in un blog e il blog mi aiuterà a risolvere questi problemi": così Moore descrive l’atteggiamento di coloro che meditano di iniziare a postare.

Su questo atteggiamento di fiducia nel blogging si innesta il follow up previsto dai due ricercatori. A due mesi dalla prima intervista, Moore e Baker hanno ricontattato coloro che credevano nelle potenzialità taumaturgiche del blog: hanno risposto 59 blogger appassionati e entusiasti. Hanno spiegato di sentirsi meglio integrati in una rete di relazioni, soddisfatti delle proprie amicizie, meno tesi e carichi di una solida autostima.

I numeri sono ancora ridotti e incoraggiano la ricerca su scala più ampia, ma i ricercatori si sentono pronti a tracciare un parallelo tra il blog e il diario personale. Entrambi sono strumenti utili a razionalizzare i flussi di pensieri e ad affinare le capacità di pianificazione, consentono di riordinare quanto scorre nella mente, costringono l’autore ad organizzare flussi di coscienza per se stesso e per il pubblico al quale si espone. Proprio gli strumenti di interazione offerti dal blog costituirebbero il potenziale più dirompente: il feedback restituito dai commentatori, le citazioni da parte degli altri blogger danno a chi posta la sensazione di essere ascoltati, di poter tornare a fidarsi degli altri.

Ma la capacità di sollevare il morale dei netizen non è solo appannaggio dei blog: i due ricercatori hanno intervistato di nuovo gli utenti di MySpace che avevano dichiarato di accontentarsi di un profilo sul social network e di non voler iniziare a gestire diari online. Anche in questo frangente i netizen si sono mostrati più sereni e vivaci: "Forse – suppone Moore – sono semplicemente riusciti a stabilire più relazioni".

Gaia Bottà

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